Con grande piacere ospitiamo questo articolo di Silvio Loddo, neuropsichiatra infantile
A fine anni ’70 in un Ospedale di Bogotà, in Colombia, si
registravano undicimila parti all’anno, molti dei quali ad alto rischio.
Le incubatrici scarseggiavano e per affrontare l’urgenza due medici
applicarono un metodo diventato poi noto come Kangaroo Mother Care (KMC).
Il metodo consiste nel porre il neonato a contatto pelle a pelle
sul torace della madre, coperto da un panno, quanto prima possibile dopo
la nascita. Il bambino usufruisce così di una incubatrice umana con cui
ha già familiarità, del tutto dedita a lui, la più adatta in termini di
continuità di accudimento, nutrimento, stimolazioni ed anche di
stabilizzazione della temperatura corporea. Se il bambino si raffredda,
la madre aumenta la sua produzione di calore, e lo riscalda. Il metodo
inoltre facilita l’inizio dell’allattamento al seno che a sua volta, è
dimostrato, contribuisce alla formazione di una corretta flora
intestinale, protegge il bambino da allergie, riduce il rischio di
infezioni, di costipazione, e di morte improvvisa in culla.
Dagli studi condotti sin da allora risulta che il KMC, applicato ad
un gruppo di bambini prematuri e di basso peso, porta ad esiti uguali o
in certi casi migliori rispetto alle cure tradizionali in incubatrice
quanto a sopravvivenza, salute globale, crescita fisica e psichica
misurati ad un anno di vita. Questi bambini, rispetto a quelli seguiti
con i metodi tradizionali, presentano durante la loro crescita un
maggiore sviluppo di alcune aree cerebrali, una frequenza scolastica più
continuativa, maggiori capacità cognitive, minori segni di stress,
minore iperattività e minore deriva sociale.
Nei primi anni 2000 la separazione dei bambini dalle loro madri
alla nascita era ancora la regola in alcune regioni della Russia: i
piccoli erano posti nel nido, dove sensazioni tattili, odori e suoni
erano per loro completamente nuovi ed estranei. Un gruppo di ricercatori
russi e svedesi fu in grado di attuare uno studio controllato
randomizzato (un tipo di sperimentazione molto affidabile), che
prevedeva di tenere una parte dei bambini costantemente vicini alle loro
madri sin dalla nascita ed altri bambini in condizioni o di separazione,
o di unione solo per un certo numero di ore. Ad un anno di età i bambini
che erano stati tenuti in contatto pelle a pelle con la madre alla
nascita e poi tenuti nella stessa stanza della madre – rooming-in è la
definizione tecnica – erano più capaci di controllare le loro emozioni,
di regolare il loro comportamento, di focalizzare la loro attenzione. Da
parte loro, le madri di questo gruppo di bambini presentavano maggiore
capacità di percepire ed interpretare i segnali comportamentali del
proprio piccolo e di rispondere ad essi in modo rapido e appropriato. La
diade madre-bambino, sempre nel gruppo che aveva beneficiato dello
stretto rapporto alla nascita, presentava una migliore reciprocità
emotiva e capacità di cooperare, fattori importanti nel prevenire
problemi comportamentali futuri del bambino.
Studi su animali negli ultimi decenni hanno esplorato gli effetti
della separazione precoce del piccolo dalla madre, nel frattempo che
negli umani si osservavano gli effetti di un’unione precoce
madre-bambino. Si, il paradosso è proprio questo, che negli animali si
studia cosa succede se si separa, mentre gli studi sull’uomo verificano
i benefici di lasciare da subito il bambino con la madre.
I piccoli di ratto che vengono separati anche solo per 3 ore al
giorno dalle loro madri durante le prime tre settimane di vita
presentano da adulti segni di tipo depressivo: si arrendono prima quando
devono affrontare situazioni di pericolo, hanno una esagerata reattività
allo stress e mostrano deficit di apprendimento in situazioni
sperimentali specifiche. Sempre nei ratti, una madre che accudisce la
propria prole in modo intenso durante i primi giorni di vita produce un
effetto di rassicurazione che sarà misurabile sia nel comportamento
della prole, sia per quanto riguarda gli effetti biochimici nel DNA
della stessa prole, diversamente da ciò che accade a piccoli accuditi da
una madre poco dedita. Se si scambiano le madri, le “marcature”
biochimiche sul DNA dei piccoli sono ribaltate.
Un settore di ricerca in rapida espansione, l’epigenetica, spiega
come un neonato registri nel suo DNA i messaggi derivanti dallo stile di
accudimento della propria madre. Epigenetico vuol dire “sul gene”. Come
è noto, tutte le cellule del nostro organismo hanno lo stesso DNA in un
singolo individuo, ma affinché un gruppo di cellule diventino tessuto
nervoso, altre pelle, altre tessuto renale, occorre che in ciascun
gruppo siano attive le parti di DNA che hanno le informazioni ed i
programmi utili per questi scopi specifici e le altre parti di DNA
restino “silenti”, vale a dire non codifichino.
Questa procedura di attivazione/disattivazione non si verifica solo
nella formazione dei vari tessuti del nostro corpo. Il DNA di alcune
parti del cervello del piccolo delle madri più o meno accudenti viene
selettivamente attivato e disattivato in alcune sue parti, probabilmente
per impostare le reazioni più appropriate del piccolo verso l’ambiente
esterno. Condizioni ambientali difficili possono indurre un
comportamento meno accudente, ed è possibile che in questo modo la madre
trasmetta ai piccoli il messaggio: “la situazione non è tranquilla,
state in guardia”. Un atteggiamento circospetto, una maggiore
propensione allo stress ed alla depressione durante lo sviluppo,
nell’animale, come in noi umani, può quindi essere il risultato di
esperienze precoci negative, ed avere un effetto protettivo dai
pericoli, ma anche limitare le potenzialità di sviluppo future.
Estremizzando: da una piena realizzazione, ad una vita di semplice
sopravvivenza, con tutte le possibili varianti intermedie. Dalle
ricerche emerge anche che i piccoli acquisiscono anche lo stile di
accudimento dalla madre: figlie di madri poco accudenti saranno con ogni
probabilità poco accudenti anche loro.
Il DNA ha un carattere “stabile”, i meccanismi epigenetici hanno un
carattere “dinamico”, funzionale all’adattamento all’ambiente. Si
ritiene che restino attivi per tutta la vita. Un esercizio fisico
regolare, una dieta sana ed appropriata, un ambiente familiare,
lavorativo ed amicale sereno possono avere effetto epigenetico positivo
sulla espressività dei nostri geni, opposto a quello indotto da
inquinanti ambientali o stress ripetuti. Traumi psicologici subiti fin
dalla nascita e nel corso dello sviluppo aumentano il rischio di
sviluppare in età adulta patologie psichiatriche quali depressione ed
ansia, disturbi bipolari, disturbi da stress post traumatico e possono
essere legati a modifiche epigenetiche in varie sequenze del DNA.
Esperienze positive successive, provenienti dalla famiglia, dalla scuola
e da altre figure che svolgono funzioni di supporto, guida e terapia
possono ridurre l’effetto di questi traumi precoci.