Concorsi pubblici: l’esclusione della candidata in gravidanza
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Per il Consiglio di Stato la gravidanza non può costituire una causa di esclusione dal concorso.
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Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 8578/2021 del 24 dicembre 2021, è ritornato sul tema dell’esclusione della candidata in gravidanza da un concorso pubblico, sottolineandone l’illegittimità sulla scorta del richiamo di vari dati normativi nonché di alcuni precedenti giurisprudenziali.
Il caso giunto all’attenzione dei Giudici di Palazzo Spada, in particolare, riguardava l’esclusione di un soggetto di sesso femminile alla procedura di reclutamento dei candidati “idonei non vincitori” dei concorsi per allievi finanzieri indetti negli anni 2010-2011 e 2012.
Essendo tale esclusione connessa allo stato di gravidanza della donna, quest’ultima aveva impugnato il provvedimento di esclusione unitamente alla determinazione di approvazione della graduatoria finale, alla determinazione della Commissione per la verifica del mantenimento dei requisiti psicofisici nonché al bano nella parte in cui disponeva che “le ricorrenti che…risultano positive al test di gravidanza…sono escluse dalla procedura…laddove lo stato di temporaneo impedimento sussista ancora alla data del 31 agosto 2016”.
Il TAR aveva dunque accolto il ricorso e annullato il provvedimento di esclusione nonché la norma del bando citata riconoscendo un’illegittima disparità di trattamento.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva dunque proposto appello avverso tale sentenza, evidenziando – per quanto qui di rilievo – il fatto che la gravidanza non può costituire un impedimento fisiologico all’espletamento dell’intera procedura, come emerge dal D.M. 155/2000 che prevede che l’accertamento nei riguardi dei candidati debba essere effettuato entro il termine stabilito dal bando di concorso in relazione ai tempi necessari per la definizione della graduatoria. Nel ritenere infondata tale censura, il Consiglio di Stato ha ribadito alcuni importanti principi, già condivisi da larga giurisprudenza amministrativa.
Segnatamente, il Collegio ha evidenziato, in premessa, che la tutela della situazione soggettiva di una candidata in stato di gravidanza non può ragionevolmente costituire e determinare un detrimento per la posizione giuridica soggettiva degli altri candidati e per l’interesse della PA a una celere definizione della procedura, nell’ottica del buon andamento ex art. 97 Cost.
Tale circostanza, tuttavia, “non è idonea a giustificare il sacrificio definitivo della prima mediante l’esclusione dal concorso, ma impone il giusto bilanciamento dei contrapposti interessi, in quanto espressione di diritti aventi pari dignità costituzionale”.
L’esclusione definitiva di una candidata in stato di gravidanza alla procedura concorsuale, infatti, contrasta con il quadro normativo nazionale e sovranazionale. A tale proposito, infatti, il Consiglio di Stato richiama varie norme:
l’art. 11 della Convenzione ONU del 1979 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con la L. n. 132/1985, secondo cui gli stati parte si impegnano a prendere ogni misura necessaria a prevenire nel campo dell’impiego “la discriminazione nei confronti delle donne a causa del loro matrimonio o della loro maternità e garantire il loro diritto effettivo al lavoro”;
l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, per cui “la parità fra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione”;
l’art. 157 TFUE sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego;
l’art. 2 della Direttiva CE n. 54 del 2006, per cui deve considerarsi discriminatorio “qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità”;
l’art. 3 Cost., che impone il principio di uguaglianza sostanziale;
l’art. 4 Cost., che riconosce a tutti i cittadini pari diritto al lavoro;
l’art. 51 Cost., che assicura a tutti i cittadini, di sesso maschile e femminile, il diritto di accedere ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza;
l’art. 31 Cost., che qualifica compito della Repubblica l’agevolazione della formazione della famiglia e la protezione della maternità;
l’art. 37 Cost., che impone la fissazione di condizioni di lavoro per la donna compatibili con l’adempimento della sua funzione familiare;
l’art. 1 Codice delle pari opportunità.
Tanto richiamato, il Consiglio di Stato ha evidenziato come il quadro normativo sia univoco nell’”escludere che lo stato di gravidanza possa rappresentare un ostacolo nell’accesso al lavoro o fonte di discriminazione nell’ambito lavorativo”.
Per tale ragione deve concludersi l’esclusione definitiva dalla procedura concorsuale di una candidata in ragione del suo stato di gravidanza è del tutto illegittima in quanto violativa dell’uguaglianza sostanziale tra i candidati.
Nel caso di specie, pertanto, l’accertamento dell’idoneità fisica della candidata incinta doveva essere semplicemente rinviato in ragione dell’impedimento temporaneo in cui versava la stessa.
Redazione Giuridica
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